Recentemente ho avuto l’occasione di vedere dal vivo il
quadro “Giuditta che decapita Oloferne”
di Artemisia Gentileschi, conservato
agli Uffizi a Firenze. Devo dire che vederlo dal vivo fa un certo effetto, anzi,
a dirla tutta, la scena fa quasi paura, molto di più di come ci si aspetterebbe
vedendo il quadro riprodotto in Rete o su qualche testo d’arte.
Per esempio, non mi ero mai accorta che in questo quadro
mentre le due donne cercano di ucciderlo l’uomo con una mano tenta di resistere
respingendo la donna con l’abito rosso. Impossibile non fare il paragone tra la
vita di Artemisia e questo quadro:
lei, che subì violenza da un uomo, una doppia violenza, essendo Agostino Tassi amico del padre e
maestro di pospettiva della stessa Artemisia-dipinge invece la violenza su un
uomo, una violenza che fa orrore.
Artemisia nelle realtà venne anche tradita dall’amica Tuzia,
che la lasciò sola in balia del suo aggressore. In “Giuditta che decapita Oloferne” invece le due donne sono solidali,
accomunate dalla situazione. Una sorta di complicità femminile che Artemisia
non sperimentò mai.
Considerazioni che hanno fatto discutere i critici dell’arte,
proprio per le possibili implicazioni tra la vita e i drammi della pittrice e
le sue opere. Artemisia, in questo quadro, si è immedesimata in Giuditta?
Lara Zavatteri
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