Artemisia Gentileschi,
figura da cui ho tratto ispirazione per questo libro, è stata una grande
pittrice del Seicento. Figlia e allieva di un altro pittore, Orazio Gentileschi, fu influenzata
dalla pittura del Caravaggio e fino
ad un certo punto da quella del padre: nel corso della loro vita artistica -
resteranno separati per molti anni-non si capirà più chi è il maestro e chi l’allieva,
tanto che sarà la stessa Artemisia a concludere alcune opere iniziate dal padre
in Inghilterra ed ancora oggi per alcune opere è incerta l’attribuzione ad
Artemisia o Orazio.
Artemisia era una
ragazza fuori dal comune. Talentuosa, iniziò a dipingere fin da giovane nel Quartiere degli Artisti a Roma. Purtroppo
la sua giovinezza fu rovinata dalla violenza perpetrata ad opera di Agostino Tassi,
suo maestro di prospettiva e amico e collega del padre. Cosa inaudita per l’epoca,
Agostino subirà un processo e sarà condannato per stupro. Artemisia ne esce
vincitrice, anche se per tutta la vita porterà suo malgrado quel marchio d’infamia
su di sé.
Sembra che nel quadro "Susanna e i vecchioni” uno degli uomini è ben lungi da apparire
vecchio e mostra invece i riccioli neri del Tassi, in un quadro che raffigura
due uomini che, guarda caso, importunano una ragazza. In “Giuditta che decapita Oloferne” si è voluta vedere la fisionomia
del Tassi e in molti altri quadri la stessa Artemisia.
Il suo Autoritratto
come allegoria della pittura la mostra intenta a dipingere, le maniche
tirate su per non sporcarle di colore, anziché compunta come nei ritratti
ufficiali. Appare quello che è: un’artista e una donna indipendente che sa il
fatto suo.
Artemisia Gentileschi
e la sua storia compaiono in questo libro, per far comprendere una vicenda
dei giorni nostri che vede come protagonista Nives, giornalista sulle tracce di
un ladro che ha rubato proprio una delle opere di Artemisia. Scoprirà che lei
stessa ha un legame con la Gentileschi, in una storia che mescola alla vicenda
reale di Artemisia un pizzico di fantasy dove si scontrano bene e male.
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