Ecco uno dei passaggi del libro L’Inclinazione. Storia di Artemisia e Nives in cui parlo del vero
processo della pittrice Artemisia
Gentileschi. Come accade sempre, dopo la denuncia e il processo, la donna
deve fare i conti con quanti non le credono, o peggio pensano che se la sia
cercata. Artemisia affrontò non solo
il suo aguzzino, non solo il processo, ma anche le malelingue che
accompagnarono la sua vita da allora in poi. Sempre fiera, a testa alta,
consapevole di avere ragione.
Ma per
Artemisia le mortificazioni non erano ancora finite. Pur di farle confessare il
falso i giudici, che le contestavano fin da principio la sua deposizione,
decisero di sottoporla a quella che veniva chiamata “la tortura dei sibilli”.
Si trattava di lacci che venivano legati ad ogni dito più stretti e
tirati fino allo strozzamento delle dita che prendevano a sanguinare. Artemisia
non gridò, non pianse mentre le si spaccavano le dita, mentre di fronte a lei
il suo aguzzino osservava la scena senza traccia di pentimento, o almeno di
pietà per quanto la ragazza era costretta a subire. Non si disperò, nemmeno
quando il dolore divenne insopportabile. Pensava solo alle sue tele, ai dipinti
che doveva terminare e a quelli che ancora dovevano essere creati, pensava a
quante volte quell’identica tortura aveva provocato danni irreversibili,
pensava, insomma, che per colpa di una colpa non commessa ma subita forse non
sarebbe stata più in grado di dipingere. Tutto questo subiva Artemisia,
consapevole di non essere creduta…
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