Ecco il secondo capitolo del
libro di Artemisia, quando Nives, la
giornalista che vive ai giorni nostri, si trova sulle tracce del ladro del
quadro della Gentileschi, scomparso da un Museo di Trento.
Per avere il libro potete rivolgervi direttamente a me a larazavatteri@gmail.com o
sul sito
http://www.shopmybook.com/it/Lara-Zavatteri/LInclinazione%252E-Storia-di-Artemisia-e-Nives%252E
Non sapeva nemmeno quanto tempo era trascorso da quando, come trasognata, aveva lasciato il Museo senza salutare nessuno dei colleghi, o come avesse fatto ad annotare sul taccuino altre informazioni che la gelida direttrice si era decisa a divulgare. Non lo sapeva, eppure queste cose le aveva fatte, ed era stata la sua mano a muoversi veloce sul notes e le sue gambe a portarla a casa, eppure potevano benissimo essere la mano e le gambe di un’altra, poiché non ricordava di aver compiuto nessuna di quelle azioni. E allora, perché non poteva essere stata lei a rubare quel quadro, la notte passata, e non ricordarsene? Nives pensava a questo mentre, seduta davanti al computer del suo studio a casa sua-poiché lavorando come freelance non si recava in redazione- cercava informazioni su Artemisia Gentileschi. Tutto le appariva ancora come un sogno, tuttavia lei era certa di essersi riconosciuta nelle immagini registrate dalle telecamere, anche se nessun altro tra coloro che avevano assistito a quella breve proiezione pareva averci fatto caso. Com’era possibile? Eppure Nives era lì, accanto a loro, come mai nessuno l’aveva associata alla persona intenta a rubare il quadro? Nives era anche sicura di non essere la ladra, ma allora chi era quella ragazza che sembrava la sua fotocopia? Il cellulare posto sul tavolino squillò, costringendola bruscamente a tornare alla realtà, all’articolo che doveva spedire quanto prima alla redazione.
“Allora, novità?” disse febbrile il caporedattore
dall’altra parte del telefono.
“Sì, dunque il ladro è una donna ed è riuscita a portare
via il quadro senza far scattare nessun sistema d’allarme e..”
“Come se ne sono accorti?”
“L’ha notato stamattina il…”
“Chi? Chi se n’è accorto?” sbraitava l’altro, senza
lasciarle il tempo di spiegarsi.
“Il custode che…”
“Chi ha dato l’allarme?”
“Lui” disse in un soffio Nives, rassegnata a quella
raffica di domande.
“Sessanta righe, più un box di trentacinque che spieghi
chi era la pittrice e qualcosa del quadro, tra un’ora” e mise giù.
Anche Nives riattaccò, con il cuore in gola e la rabbia
per quel modo di fare del caporedattore che non la lasciava mai finire una
frase. Si sentiva sempre sotto esame e l’impossibilità di formulare una frase
compiuta perché continuamente interrotta la frustrava enormemente. Aveva un’ora
per scrivere ma comporre un pezzo di quel rigaggio non sarebbe stato semplice.
Aveva pochi elementi in mano, anche il custode aveva rilasciato solo qualche
breve dichiarazione poiché non aveva ne visto ne sentito alcunché, inoltre le
mancava tutta la documentazione sulla Gentileschi. Decise di partire da
quest’ultima. Poiché il tempo era poco digitò “Artemisia Gentileschi” sul
motore di ricerca Google e trovò subito alcuni siti d’arte che parlavano della
pittrice. Cominciò ad annotare quanto le sembrava più interessante:
·
nata
a Roma l’8 luglio del 1593, figlia di Orazio Gentileschi, a sua volta pittore
seguace della maniera caravaggesca e toscano d’origine e di Prudenza Montone,
che morì quando Artemisia era ancora piccola.
·
L’unica
in grado di dipingere tra i suoi fratelli.
·
Iniziò
a dipingere giovanissima.
·
Diverse
le opere rimaste, realizzate tra Roma, altre città italiane e all’estero.
·
Violentata
da un pittore amico e collega del padre nel 1611, ne scaturì un processo nel
1612, infinitamente umiliante per Artemisia che venne anche sottoposta alla
tortura dei “sibilli”, ovvero allo schiacciamento dei pollici, particolarmente
dannoso per una pittrice.
·
“Il gioco dello specchio”, il quadro scomparso dal Museo, datava 1612.
Nives
buttò giù la sua trentina di righe in base a queste informazioni, aggiungendovi
anche le parole della direttrice del Museo che aveva definito il quadro
“un’opera d’inestimabile valore”, frase un po’ generica che probabilmente
avrebbe detto per qualsiasi altro dipinto, ma andava bene per rimpolpare il suo
articolo. Nella ricerca per immagini di Google trovò anche un’immagine in
Megabyte del quadro rubato, quindi di dimensioni sufficienti da poter inviare
insieme al suo testo. Nives si fermò un momento a fissare il quadro, che
raffigurava la medesima persona, una donna con i capelli scuri, in parte raccolti
dietro ma con ciocche che ricadevano sulla fronte, abbastanza robusta ma non tanto
da risultare grassa, abbigliata con una veste dai colori caldi, con oro e
bianco che si mescolavano sulla tela, mentre fissava l’identica figura, posta
di fronte a lei, che però vestiva con abiti scuri, di un nero lucente.
Scorrendo i quadri di Artemisia, era facile capire che quella donna, anzi
quelle donne, altro non erano che la pittrice stessa. Nives ne rimase turbata,
ricordando quanto le era accaduto al Museo. Era decisa a dimenticare quella
sciocchezza-perché tale doveva essere secondo lei-ma la sua mente evidentemente
non era d’accordo e continuava a ricordarle quella ragazza e quei movimenti
identici ai suoi. Guardò l’orologio, le mancava ancora solo mezz’ora per scrivere
il testo più lungo, così si mise subito all’opera con quanto aveva. Trovò anche
il tempo per chiamare il maresciallo dei carabinieri in caserma, per capire se
fossero emersi nuovi indizi-e per sapere, naturalmente senza accennarlo, se
qualcuno si era accorto della sua somiglianza con la ladra- ma non c’erano
novità in merito. Così Nives si mise di buona lena a raccontare ciò che era
accaduto, senza saper rispondere alle domande più importanti, e cioè perché la
ladra aveva portato via solamente quel quadro e perché aveva preso proprio
quell’opera. Non le pareva possibile che avesse rubato un quadro a caso, anche
perché solitamente chi compie furti relativi ad opere d’arte ne conosce molto
bene il valore. Comunque scrisse il suo pezzo, lo rilesse più volte com’era
solita fare per controllare se filava bene e infine spedì tutto al giornale
tramite la posta elettronica. Tirò un sospiro di sollievo per esserci riuscita
anche quella volta-poiché aveva sempre paura di non stare nei tempi- e andò in
cucina. Prese un bicchiere di the al limone e tornò davanti al computer per
saperne di più sulla pittrice. L’indomani, lo sapeva, avrebbe dovuto nuovamente
sentire le forze dell’ordine per capire a che punto erano le indagini e
scrivere un pezzo anche su quello, ma chissà se in un giorno sarebbero arrivati
in capo a qualcosa. Ripensò anche alla ragazza ripresa dalla telecamera, senza
riuscire a darsi una spiegazione convincente. Forse, pensava, mi sono
sbagliata, ho avuto un abbaglio. Forse mi sono lasciata suggestionare da quella
figura che tanto mi assomiglia. Ma il suo inconscio diceva no: non ti sei
sbagliata. Nives si costrinse a leggere ancora qualcosa sulla pittrice, una
donna che l’affascinava per più motivi, ma poi quell’inquietudine la spinse ad
uscire, chiudere casa e camminare senza meta per la città, così da pensare in
pace ma scaricando al contempo l’ansia per tutta quella faccenda e, inutile
nasconderlo, anche un po’ di paura. Si spinse verso la chiesa di San Pietro,
poi fino al Conservatorio, dalle cui finestre uscivano dolci note che
invitavano a lasciarsi andare, a non pensare ai problemi della vita, fino al
piccolo parco nelle vicinanze. E fu lì, anche se in lontananza, che rivide per
un attimo, troppo effimero per fare qualsiasi cosa, se stessa che si
allontanava.
Stavolta ne fu veramente convinta: quella ragazza-
scomparsa alla sua vista troppo presto per avvicinarsi e parlarle- era davvero
lei, o meglio era una persona identica a lei. Questa constatazione la fece
stare meglio per un po’: dopotutto ciò significava che lei, Nives, non c’entrava
nulla con la sparizione del quadro, che non soffriva di qualche strana malattia
o di amnesie che le avevano fatto dimenticare di aver compiuto il furto.
Tuttavia, il problema era un altro: chi diavolo poteva essere quella ragazza? E
inoltre, quanto tempo avrebbero impiegato le forze dell’ordine a collegare lei,
Nives, al furto? Chi mai avrebbe creduto che lì, in quella stessa città,
esisteva un’altra se stessa? Mentre ragionava in questo modo seguiva, correndo,
la strada che l’altra se stessa aveva compiuto appena pochi attimi prima,
cercando di cogliere qualche indizio per capire dove fosse diretta. Ma tutto
appariva come sempre e il parco con i suoi tigli secolari ai lati e già avvolto
dalla luce dorata del tramonto, sembrava non essere in grado di fornirle le
risposte che cercava. Molti altri vicoli si aprivano alla fine della stradina
di ghiaia che racchiudeva il parco e Nives non sapeva quale seguire. Si fermò
un attimo per riprendere fiato, guardarsi intorno, ragionare sulla direzione in
cui muoversi. Ma la sua mente non riusciva a concentrarsi, a seguire il filo di
un discorso logico dopo ciò che aveva visto. Com’era possibile che al mondo
esistesse una ragazza che in nulla differiva dalla sua persona, che anche da
lontano, si capiva, era la sua copia esatta? Nives non aveva sorelle né
fratelli, ma era concepibile che avesse una gemella di cui non aveva mai saputo
nulla fino a quel momento? Per quanto bizzarro, decise di chiederlo
direttamente a sua madre. Forse l’avrebbe presa per pazza, ma in qualche modo
doveva sapere, venire a capo di quella situazione che la stava facendo
impazzire. Digitò in fretta il numero sulla tastiera del cellulare e attese.
“Pronto?” disse quasi subito sua madre dall’altra parte
del telefono.
“Mamma sono io”.
“Nives! Cosa c’è? È successo qualcosa?” chiese la donna,
avendo percepito subito il tono d’allarme nella voce della figlia. Nives si
affrettò a negare.
“No, no, nulla. Ma devo chiederti una cosa, anche se
sembra assurdo o mi prenderai per pazza. Ti prego rispondimi sinceramente, è
importante.”
“Va bene, Nives, dimmi. Mi stai facendo paura” ammise la
madre.
“Senti” tagliò corto Nives “Dio mi sembra così stupido da
chiedere…”
“Ma dimmi ti prego” insistette la madre, apprensiva.
“Insomma, io ho una gemella? Sii sincera, è veramente
importante.”
La madre tacque per un attimo, poi Nives udì dall’altra
parte della cornetta quelli che parevano dei singulti e che invece era una
risata trattenuta.
“Ma che vai a pensare? Che idee ti vengono in mente?”
rispose ilare la madre “Certo che no. Ma che ti è saltato in testa Nives?”
disse la madre ridendo.
“Senti ho visto una ragazza che è identica a me, come lo
spieghi?”
“Non lo so. Ma sei sicura, magari l’hai vista da lontano
e ti è sembrato..”
“Sì mamma sono sicura, sicurissima. Anche tu se la
vedessi mi scambieresti per lei.”
“Questa poi. E perché non le hai chiesto nulla?” fece la
madre, incuriosita.
Nives non poteva certo raccontarle che tutto era partito
dalle registrazioni della telecamera al Museo, che quella ragazza aveva
commesso un furto e via discorrendo. Così disse solo:
“Non ho avuto occasione. Ma tu sei sicura..”
“Di non avere avuto un’altra figlia?” chiese ridacchiando
la madre “Nives, Santo cielo, ti pare che se avessi avuto un’altra bambina non
me ne sarei accorta? O che l’avrei nascosto a tutti? E a che scopo poi?”
“Va bene mamma, devo andare.”
“Fatti sentire.”
“Va bene, ciao.”
“Ciao”.
Nives riattaccò ancora più confusa di prima. Dunque
quella ragazza non era una gemella sbucata fuori all’improvviso, sapeva che sua
madre non le aveva mentito, anche se lei, per fugare ogni dubbio, aveva sentito
l’esigenza di chiamarla. Ripose il cellulare nella borsa e riprese a camminare
senza sapere dove andare, mentre le ombre della sera si allungavano dipingendo
di chiaro scuri piazze e vie della città. Senza saperlo si trovò in via Roma
dove stava la biblioteca e vi entrò spinta da un impulso che neppure lei
riusciva a spiegare. Le porte automatiche si aprirono al suo passaggio e dentro
le luci soffuse creavano un’atmosfera di rilassamento molto invitante, cosa di
cui lei, dopo una giornata come quella che stava per terminare, aveva un
disperato bisogno. Decise di cercare qualche libro d’arte su Artemisia Gentileschi,
così da saperne di più sulla pittrice, casomai servisse per rimpolpare i pezzi
che avrebbe scritto nei giorni successivi. Salì le scale in stile classico che
portavano al piano superiore e si rifugiò nel settore dei libri d’arte. Ebbe
fortuna. In occasione della mostra che si svolgeva al Museo, infatti, era stato
messo in bella vista un volume che trattava proprio delle pittrici nel corso
dei secoli e scorrendo l’indice Nives trovò anche la Gentileschi. Lo
prese e, senza intrattenersi oltre tra gli scaffali, scese le scale e tornò da
basso. Al banco consegnò il volume alla bibliotecaria che lo smagnetizzò
nell’apposito apparecchio dopo aver visto la sua tessera della biblioteca. Era
il procedimento utilizzato affinché i libri non fossero rubati, perché se i
testi non venivano smagnetizzati appena la persona oltrepassava il bancone un
dispositivo suonava immediatamente denunciando il furto. Era anche vero che a
volte qualcosa non funzionava, ad esempio il libro non era stato passato
adeguatamente nell’apposita macchina oppure l’addetto della biblioteca, specie
nei momenti di punta, l’aveva tralasciato, ed allora quel suono intenso,
fastidioso, imbarazzava non poco la persona che aveva richiesto il libro,
guardata da tutti coloro che sedevano nel locale come una ladra. Ma c’erano
altre volte in cui il dispositivo aveva permesso di scongiurare dei furti ed
infatti c’era sempre qualcuno che pensava di farla franca portandosi a casa un
testo gratis. Per Nives tutto filò liscio, il libro le fu riconsegnato dalla
bibliotecaria con un sorriso e nessun suono disturbò quanti stavano leggendo o
studiando nell’edificio. Le porte automatiche si aprirono e lei fu in strada.
Si stava dirigendo verso piazza Dante quando quel suono la raggiunse. Presa dal
panico, benché non ne avesse motivo, si nascose dietro un cespuglio che
cresceva nel parco, quel tanto che bastava per vedere e non essere vista. Il
suono metallico dell’allarme della biblioteca giungeva fin lì e non passò che
una frazione di secondo perché Nives vedesse sfrecciarle accanto chi cercava,
cioè se stessa. La ragazza correva trafelata con un libro sottobraccio, ma
dietro di lei nessuno la inseguiva. Le forze dell’ordine non sarebbero riuscite
ad arrivare alla biblioteca così velocemente da impedirle di fuggire e anche se
la bibliotecaria per un breve tratto l’aveva rincorsa, non era poi riuscita ad
attraversare la strada per piazza Dante perché il traffico era ancora intenso.
Avrebbe chiamato subito la
Polizia, ma intanto quella ragazza chissà dove sarebbe sparita.
I passanti osservarono per un attimo la scena, senza riuscire a capire cosa
fosse successo, dopodiché proseguirono come nulla fosse. Nives, da dietro il
cespuglio, aveva seguito il suo alter ego con lo sguardo, per poi smarrirlo tra
la folla. Ancora una volta l’aveva perduta e oltretutto doveva andarsene di lì
e sicuramente non mettere più piede nella biblioteca, perché l’avrebbero
confusa con quell’altra. Stava per prendere la stessa direzione quando notò a
terra un foglio ripiegato che prima non c’era e subito lo raccolse. Lo aprì con
cautela, sperando che l’avesse perso la ragazza durante la sua corsa. Era una
cartina di Roma e probabilmente il libro che quella ragazza aveva rubato era
una guida. Forse sapeva dove rintracciarla, così iniziò a correre anche lei,
verso la stazione dei treni. Mentre procedeva domandava a se stessa se tutta
quella faccenda non fosse una pazzia ma allo stesso tempo pensava a quanti euro
le erano rimasti in tasca e se aveva chiuso casa. Le importava trovare quella
ragazza e comprendere la ragione di quella straordinaria somiglianza, ma anche
avere l’occasione di uno scoop giornalistico, se fosse riuscita a beccare la
ladra, anche se poi restava da chiarire che tra loro non vi era alcuna
parentela. Fuori dalla stazione una fila di taxi aspettava clienti mentre sulle
panchine stava in attesa un gran numero di persone. Nives le guardò una per
una, ma non si vide in nessuna di loro. Se l’aspettava. In fondo, l’altra stava
sempre scappando per il furto del libro e non se ne sarebbe stata tranquilla su
una panchina mentre il treno arrivava. Così Nives, controllato di avere denaro
a sufficienza e passato l’ultimo momento d’incertezza, si diresse alla
biglietteria. Dall’altra parte un omino dall’aria simpatica le diede il
benvenuto.
“Buonasera signorina, cosa posso fare per lei?”
“Buonasera. Un biglietto, prego.”
“Per dove?” domandò l’omino.
“Roma.”
“Ah, Roma, gran bella città. Se non sono indiscreto, cosa
la porta laggiù? Amore o affari?”
“Nessuna delle due, in realtà. Cerco una persona” rispose
Nives.
“Ecco qui” disse l’omino “si affretti, il treno arriva
tra dieci minuti, oppure c’è quello tra un’ora. Le auguro di trovare chi
cerca.”
“La ringrazio” disse Nives “buonasera.”
“A lei” rispose l’omino, e si girò ad accogliere il
prossimo cliente.
Nives si spostò sul binario indicato. Come sapere quale
dei due treni avrebbe preso l’altra? Quello che stava arrivando o quello tra
un’ora? Ragionando come fosse una persona in fuga, Nives decise che sarebbe
salita sul primo in arrivo e obliterò il biglietto. Era inoltre chiaro che alla
biglietteria non avevano visto nessuna ragazza con le sue sembianze, altrimenti
l’omino se ne sarebbe di certo ricordato, essendo che l’altra se stessa era
sicuramente passata di lì appena poco prima. Sì, era passata dalla stazione, ma
senza fare il biglietto. Evidentemente, ce l’aveva già.
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